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Le incisioni rupestri del Roccerè, un sito dell’Età del Bronzo nel cuore delle Alpi Cozie

ROCCABRUNA. L’area archeologica del monte Roccerè, nel territorio di Roccabruna sulla cresta spartiacque tra valle Maira e valle Varaita, è uno dei più importanti siti di arte rupestre dell’Età del Bronzo in Europa. Il sito, scoperto nel 1991 da Riccardo Baldi, storico di Verzuolo, primeggia per l’eccezionale numero delle incisioni, concentrate in un’area limitata (sono state recensite oltre ventimila coppelle su una superficie di circa ventimila metri quadri). L’importanza dell’area, di cui si diede notizia per la prima volta nel luglio 1993 sulla pubblicazione scientifica Survey del Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica di Pinerolo, è accresciuta dai caratteri peculiari di alcune delle figure ricavate dalla disposizione delle coppelle, tra cui spicca l’Antropomorfo, che mostra sembianze umane.

Le incisioni del versante meridionale del Roccerè, risalenti alla prima Età del Bronzo, quindi a oltre 4000 anni fa, fanno parte del ricco patrimonio d’arte rupestre di cui il Piemonte alpino è provvisto: un luogo spirituale e misterioso che affascina per la morfologia dei luoghi e lo scenario naturale in cui è inserito. Per visitare il sito occorre salire sino alla vetta del monte, a oltre 1800 metri d’altitudine, percorrendo a piedi l’itinerario guidato alla scoperta delle migliaia di figure coppelliformi realizzate sulla superficie delle rocce, quasi tutte in Gneiss occhiadino. Le coppelle, disposte secondo schemi particolari, a disegnare figure a spirale, ad arco, allineamenti e sagome cruciformi, legate a riti celebrativi (forse al culto del sole), propiziatori e apotropaici, furono realizzate ricorrendo a placche di quarzite che venivano impresse con forza e con movimento rotatorio sulla superficie dei massi: un lavoro svolto sotto la supervisione dello sciamano, che nelle comunità preistoriche piemontesi dell’Età del Bronzo come quella di Roccerè, definibili sotto il profilo etnico e culturale come Celto-liguri, designava il “capo religioso”, legittimato a esercitare la funzione di tramite tra il mondo terreno e il soprannaturale e a intrepretare i segni del volere divino.

In prossimità del burrone, a strapiombo sulla valle, è posizionata la cosiddetta pietra sacrificale, masso-altare collocato in cima a un torrione litico in gneiss su cui sono incise sette coppelle disposte secondo una configurazione ad arco: qui lo sciamano, il referente religioso che univa i tratti del veggente, taumaturgo e interprete della volontà divina, compiva i suoi riti sacrificali, diretti ad assicurare a sé e alla comunità i favori della divinità abitatrice del luogo, al fine di ottenere una buona caccia, porsi al riparo da avversità naturali o propiziare un buon raccolto. A questo riguardo, poco distante dalla pietra sacrificale, si trova la rappresentazione più significativa del sito, unica in Europa, l’Antropomorfo, figura composta da trenta coppelle che mostra un sacerdote-sciamano in movimento, con le gambe divaricate, il braccio sinistro sollevato ad arco e la mano destra che impugna un’asta o uno strumento rituale.

Di queste incisioni coppelliformi, che in Piemonte spaziano come datazione dal Mesolitico al periodo celtico, troviamo parecchi altri esempi nella fascia alpina: forse collegate alla celebrazione di riti sacrificali, c’è chi ipotizza che queste piccole “vaschette” scavate nella roccia servissero da recipienti per la raccolta del sangue e che, a seconda della direzione assunta dal liquido attraverso i canalini che collegano una coppella all’altra, il sacerdote traesse indicazioni per interpretare la volontà divina. Mettendo invece in relazione le coppelle con le conoscenze astronomiche di cui era depositario lo sciamano, alcuni studiosi suppongono che la disposizione delle cavità e dei canalini riflettesse la configurazione delle costellazioni celesti. Addirittura il fisico Guido Cossard, presidente dell’Associazione ricerche e studi di archeoastronomia valdostana, ha di recente scoperto che la costellazione del mitico eroe greco Perseo è riprodotta in modo sorprendente da un gruppo di coppelle del Roccerè, tra cui è riconoscibile anche la stella variabile Algol, detta così perché varia intensità, fenomeno oggi noto, ma al tempo sconosciuto. Roccerè sarebbe quindi il sito più antico in cui l’uomo ha osservato e rappresentato una stella variabile!

La sacralità del luogo, derivante dalla posizione, sul versante rivolto a sud di un’imponente altura, è accentuata dalla presenza sotto i torrioni sommitali del Roccerè di ampi antri cavernosi, come quelli visibili presso la Roccio (o Roccias) Fenestre, ovvero Rocca della Finestra, da cui sgorgano fonti d’acqua, ritenute dispensatrici di energie taumaturgiche. E’ probabile che tra grandi rocce, caverne e sorgenti si snodasse un vero e proprio percorso sacro. Inoltre, la presenza di grandi massi disposti in pendenza e con superficie levigata (“massi a scivolo”), quali se ne trovano a Roccerè, era spesso associata alla celebrazione di riti propiziatori della fecondità, che permarranno sino al periodo celtico e anche oltre, pur riguardate come pratiche superstiziose e condannate dalla Chiesa.

E’ il caso della cosiddetta Pera d’la Pansa, Pansa d’la Roca o Pansa ‘d Pera, che si trova sulla Rocca di Cavour: il masso, lavorato in modo tale da rispecchiare la forma di un addome con incavo centrale, simboleggiante l’ombelico, era al centro di pratiche cultuali propiziatorie della fertilità. Le donne strofinavano il ventre sulla superficie della roccia, pensando così di intercettare le energie, provenienti dal viscere della terra, che avrebbero propiziato il concepimento. La Rocca di Cavour, tecnicamente un inselberg, monte-isola in tedesco, grande masso granitico affiorante dalla pianura, una vera e propria vetta alpina isolata nel mezzo della piana agricola del basso pinerolese, è un altro luogo importante nella geografia dei siti d’arte preistorica e protostorica in Piemonte. L’altura, per le favorevoli caratteristiche pedoclimatiche, venne abitata sin da tempi preistorici: alla fase del Neolitico tardo (IV millennio a.C.) appartiene il sito di pitture rupestri policrome, unico in tutte le Alpi, scoperto sul versante est della Rocca. Le pitture, eseguite in nero-bruno e rosso, richiamano schemi figurativi diffusi nell’area iberica e provenzale, a testimoniare probabili contatti con le popolazioni di quei territori. Anche a Roccerè è stata di recente scoperta una pittura rupestre, che attende però di essere indagata dagli studiosi.

Come spesso accade i luoghi sacri agli antichi, dopo l’avvento del Cristianesimo, vennero riconfigurati per accogliere il culto cristiano (è il caso, tra tanti, del santuario di San Besso in val Soana) oppure rivestiti dall’immaginario popolare di un alone leggendario, che serviva a spiegarne l’origine, essendosi persa la consapevolezza della funzione originaria. Fu così che gli antri di Roccio Fenestras di Roccerè, con le enormi cavità che fungevano da riparo e luoghi ancestrali di culto, furono indicati dalla tradizione locale come dimore dei sarvanòt, i folletti, dispettosi ma non cattivi, che uscivano la notte per tormentare con scherzi gli umani, riempiendo la cucina di fumo, impedendo al latte di cagliare o svegliando le persone con rumori spaventosi.

Il Centro visite del sito archeologico del monte Roccerè è un rifugio situato nel cuore della pineta di Sant’Anna di Roccabruna a 1250 metri d’altitudine: recentemente ristrutturato a cura del gruppo Amici del Roccerè, è oggi adibito a centro di accoglienza per turisti e visitatori con una sala museo che ospita mostre fotografiche, reperti archeologici e documenti sulla storia di questo sito ritenuto da ricercatori e studiosi una “gemma” delle Alpi Cozie.

Rifugio-museo a Sant’Anna di Roccabruna. Le escursioni al sito archeologico con partenze giornaliere dal rifugio sono programmate sia a piedi che con navetta Land Rover 8 posti. Per prenotazioni: associazione@roccerè.it  – tel. 347.2358797. Per dettagli su escursioni, cartine sito, gallery fotografica, costi navetta e soggiorni, visita il sito: www.coppelleroccere.com.

(Immagini di Roberto Beltramo)

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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