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Lotta di Liberazione, lo sciopero torinese del 18 aprile 1945

La manifestazione coinvolse non soltanto gli operai, ma buona parte dei lavoratori torinesi. L’adesione fu alta e, alle prime ore del pomeriggio, Torino rimase bloccata. I ricordi di Giorgio Amendola

Nell’aprile 1945 a Torino si respira un clima intriso di sangue e tensione: operai e militanti sono arrestati, torturati e uccisi dai tedeschi e dai fascisti della RSI. Di fronte al rifiuto operaio di appoggiare il fascismo sostenitore della guerra e al servizio dei tedeschi, la repressione colpisce tutti con durezza. Il movimento antifascista reagisce con imboscate, attacchi e agitazioni. Maturano lentamente le condizioni per una prova generale che ripeta, su scala più ampia, quanto avvenuto il 1 marzo 1944. Le forze antifasciste preparano lo sciopero del 18 aprile come un atto politico unitario, mirando a coinvolgere, oltre alle fabbriche, anche le altre categorie di lavoratori. Fascisti e tedeschi non stanno a guardare e cercano di opporsi, impartendo disposizioni atte a “stroncare con energia ogni movimento sedizioso”.

La notte tra il 17 e il 18 aprile la città si prepara all’agitazione: gli operai e i sappisti, coadiuvati da unità partigiane armate, affiggono volantini e manifesti inneggianti alla protesta. La mattina del 18 aprile si fermano tutti gli apparati produttivi: le fabbriche, le botteghe artigiane, i negozi, i mercati rionali, ma anche le scuole, i tram, i treni, i servizi postali e telefonici. Di fronte a questa situazione la repressione colpisce soltanto la Fiat Fonderie Ghisa e la Grandi Motori, mentre alla Fiat Mirafiori è impedita l’uscita agli operai, che restano in sciopero all’interno delle officine. Nelle prime ore del pomeriggio il successo dello sciopero appare lampante: Torino è pronta ad affrontare l’ultimo e decisivo atto della lotta di liberazione, lo sciopero insurrezionale e lo scontro aperto del 25 aprile 1945.Le agitazioni e gli scioperi si moltiplicano, le masse popolari con le loro lotte appoggiano l’azione militare. Dopo un’intensa preparazione ed il superamento di resistenze venute da diverse parti, lo sciopero generale insurrezionale è proclamato a Torino il 18 aprile, la sua riuscita è senza precedenti per compattezza e slancio unitario.

Un quadro vivo e preciso è dato da un rapporto inviato a Secchia, il 20 aprile, da Giorgio Amendola che si trovava a Torino alla testa del movimento. In esso si dice tra l’altro: «Ti mando i primi rapporti scritti dai capisettore nel pomeriggio del 18. Da essi e dall’edizione del Grido di Spartaco, potete avere un’idea del successo che ha avuto lo sciopero generale. Ma già si ammucchiano nuovi rapporti che illustrano ancor meglio l’importanza della grande giornata e la partecipazione compatta attorno alla classe operaia di tutta la cittadinanza torinese, di tutti gli strati sociali. I risultati hanno superato tutte le speranze, i vecchi compagni commossi affermano che dal 1920 non si sono visti scioperi così bene riusciti e dicono che neanche allora non si è mai verificata una solidarietà così completa con gli operai degli impiegati, tecnici, professionisti, insegnanti, esercenti e persino dei magistrati com’è avvenuto ieri l’altro. E’ questo il carattere fondamentale della giornata del 18 aprile; l’unione nell’azione contro i fascisti ed i tedeschi di tutte le masse popolari e nazionali. Non vi rifaccio la cronaca della giornata. Vi posso dire soltanto che il suo carattere è stato del tutto diverso dal 26 luglio, quel giorno fu una grande festa a baldoria, questa volta era una manifestazione organizzata di lotta che conquistava la strada malgrado le minacce dei terroristi fascisti. Io ho avuto la fortuna di trovarmi al punto ove la manifestazione è meglio riuscita, a piazza Sabotino. Quando sono arrivato all’angolo di corso Racconigi col corso Peschiera, ho visto avanzare su quest’ultimo corso il grande corteo. In testa venivano le donne con bandiere tricolori e cartelloni molto ben fatti; uno era rivolto ai fascisti e diceva di non sparare e di arrendersi. Tutto il corso nella sua larghezza, era occupato dal corteo e questo era assai lungo».

«Il corteo procedeva lentamente, dalle finestre applaudivano. Il corteo era inquadrato da un servizio d’ordine, giovani in bicicletta, ed era preceduto da staffette. Le donne invitavano quelli che erano sui marciapiedi ad unirsi al corteo. In piazza Sabotino, gremita di folla, ha parlato un giovane meccanico in tuta dall’alto del tram, ha letto molto bene un discorso del fronte della gioventù. Quello che mi ha impressionato era la sicurezza della massa, il fermo e sereno coraggio ed un’aria di festosità e di letizia, tutti erano contenti e sembrava dicessero: vedete come siamo forti. I fascisti non si fanno vedere. Infatti tutto il quartiere era nelle nostre mani, assenza completa della forza pubblica. Tutti si sono resi conto di quello che potrà essere l’insurrezione: sciopero generale, congiungimento nei quartieri popolari dei partigiani con le SAP, occupazione degli edifici pubblici del quartiere, accerchiamento ed isolamento dei fascisti in alcuni punti e poi il loro annientamento. Il corteo è continuato sul corso Peschiera verso corso Vittorio Emanuele; soltanto quando è arrivato vicino alla fabbrica di birra si è fatta viva un’autoblinda che ha sparato in aria. Alcune SAP hanno risposto. Ma poiché l’ordine era di non cercare battaglia e di non insistere, il corteo si è sciolto».

«La manifestazione è stata molto controllata politicamente. Ad un certo punto hanno cominciato a cantare “Bandiera rossa” cosa che a me non dispiaceva affatto dato il quartiere operaio. Ma ho visto un compagno avvicinarsi alla testa del corteo e poco dopo hanno smesso di cantare “Bandiera rossa” ed hanno intonato l’inno di Mameli. Alle 11 le manifestazioni erano finite, ma la città ha mantenuto tutta la giornata un aspetto festoso: botteghe chiuse, tram fermi, la gente che a capannelli commentava la riuscita dello sciopero e lo smacco dei fascisti. Sensazione predominante: coscienza della grande forza del popolo e della debolezza degli avversari. E’ questo un altro risultato importante della giornata. Nei due giorni precedenti erano corse in città voci terrificanti sulla reazione fascista in caso di sciopero. Queste voci avevano molto allarmato gli amici ed anche i compagni. Un comunicato alla vigilia diceva che Solaro aveva tenuto rapporto agli ufficiali superiori della brigata nera “per esaminare la situazione e prendere i provvedimenti per stroncare con energia ogni movimento sedizioso (…)».

Giorgio Amendola (con la moglie) a Torino il 18 aprile 1945

Nella serata dopo lo sciopero,  i fascisti prelevarono ed ammazzarono  Antonio Banfo, operaio dirigente alla Fiat Grandi Motori. Banfo la mattina dello sciopero aveva polemizzato col colonnello Cabras capo delle guardie Repubblichine,  perchè aveva cercato di arringare gli operai per persuaderli a riprendere il lavoro. Il corpo di  Banfo fu trovato assieme a quello di suo genero Raimondo Melis sulla porta della Grandi Motori la mattina dopo lo sciopero.  Alla Grandi Motori lo sciopero venne continuato per un’altra giornata come protesta per l’assassinio di Banfo; nelle altre fabbriche il lavoro venne ripreso secondo le disposizioni del CLN e dei comitati di agitazione. L’atmosfera restava tuttavia carica di fortissima tensione.

Il 19 aprile il CLNAI, Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta Italia,  diramava un estremo  ultimatum  di resa  ai tedeschi ed ai fascisti. Era indirizzano a tutti i soldati e gli ufficiali delle forze armate tedesche e fasciste, ai funzionari statali e parastatali del governo fascista repubblicano e dell’apparato di occupazione germanico. L’appello terminava con queste parole: «Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba, non è stato avvertito e non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza».

Danilo Tacchino

Nato a Genova, da sempre vive a Torino dove si è laureato in Lettere. Sociologo e giornalista pubblicista , ha sviluppato ricerche storiche nell’ambito della musica, dell’ufologia e dell’industria locale. Sin dagli Anni Ottanta ha realizzato diversi volumi su tradizioni e misteri locali della Liguria e del Piemonte. Appassionato anche di letteratura, è direttore artistico di alcune associazioni culturali torinesi.

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