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Tre secoli di storia per raccontare il bicerin e le sue origini

Tra le cose notate a Torino, non dimenticherò mai il bicerin, un’eccellente bevanda composta di caffè, latte e cioccolata che si serve in tutti i caffè.
(Alexandre Dumas padre)

TORINO. I miliardari del nuovo millennio non badano a spese per essere tra i primi a sperimentare il viaggio sulla Luna, ma diciamoci la verità: cosa dareste per poter viaggiare indietro nel tempo e catapultarvi ai tempi di Camillo Benso Conte di Cavour, solamente per incontrarlo in uno dei caffè storici della città di Torino? Magari mentre sorseggia un buon bicerin, e perché no, proprio “Al bicerin” davanti al santuario della Consolata.

Tra le bevande non solo tipiche di Torino, ma soprattutto storiche, il bicerin è sicuramente quella che detiene il primo posto. I suoi ingredienti sono semplici, ma allo stesso tempo una ricetta segreta permette di abbinarli sapientemente per dare quel gusto inconfondibile, che si può assaporare solo a Torino: si mescolano insieme caffè, latte e cioccolato fondente e si serve la bevanda calda. È uso accompagnarla con biscotti e dolcetti artigianali, usanza che ci porta ancora una volta indietro nel tempo, precisamente nel Settecento, quando era molto in voga combattere il freddo dell’inverno piemontese con la bavareisa, una bevanda servita in grossi bicchieri, fatta con caffè, cioccolato, latte e sciroppo. Proprio nel Settecento, precisamente nell’anno 1763, ha inizio anche la storia del famoso locale “Al bicerin”, che l’acquacedratario Giuseppe Dentis aprì di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata. Anche qui si serviva l’antenato del bicerin e poi il bicerin stesso, ma inizialmente il rituale prevedeva che caffè, cioccolato e latte fossero serviti separatamente, solamente nell’Ottocento vennero riuniti in unico bicchiere e declinati i tre varianti:

  • Pur e fiur, simile al nostro cappuccino
  • Pur e barba, ovvero caffè con cioccolato
  • ‘n poc ‘d tut, tradotto letteralmente “un po’ di tutto”, venivano mescolati i tre ingredienti insieme

Quest’ultima tipologia fu quella che riscosse più successo, così divenne quella servita con più frequenza ed ebbe l’opportunità di essere tramandata fino ai giorni nostri, prendendo il nome dai piccoli bicchieri senza manico in cui veniva servita, appunto “bicerin”, denominazione che diede definitivamente il nome alla nostra bevanda.

Se all’epoca del consumo della bavareisa, il locale Al bicerin era arredato in modo semplice e spartano, a metà del 1800, grazie ad un progetto di Carlo Promis, il locale cambiò completamente volto: al posto delle tavole e delle panche di legno, vennero introdotti i delicati tavolini tondi di marmo bianco, le pareti vennero abbellite con specchi e lampade, il bancone acquistò un aspetto più elegante e venne fatto in marmo e legno, si aggiunsero infine le scaffalature per ospitare i vasi per i confetti. L’ambiente diventò a tutti gli effetti una vera e propria confetteria con annessa in aggiunta anche l’attività di caffè-cioccolateria. Assidui frequentatori del locale furono Camillo Benso di Cavour, che amava sorseggiare il suo bicerin al tavolino sotto l’orologio, Alexandre Dumas padre, Friedrich Nietzsche, Giacomo Puccini, Guido Gozzano, Italo Calvino, Mario Soldati, Umberto Eco, l’Avvocato Gianni Agnelli e il fratello Umberto e tanti altri.

Nel 2001 la Regione Piemonte ha inserito il bicerin nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte e nello stesso anno la rivista Gambero Rosso nella prima edizione della Guida ai Bar nomina il Caffè Al BicerinMigliore Bar d’Italia”.

Tra i consigli che gli stessi gestori del locale danno a chi si accinge ad assaggiare per la prima volta il bicerin, vi è il suggerimento di assaporare la bevanda così come viene servita, senza mescolarla, ma lasciando che tutte le sue componenti si fondano tra loro sul palato, sprigionando le differenti caratteristiche sensoriali. In questo luogo, turisti da tutte le parti del mondo, clienti affezionati da una vita, curiosi, intellettuali, studenti, artisti, e chi più ne ha, più ne metta, si riuniscono per prendere parte ad un qualcosa di non solo storico, o datato, o caratteristico, ma ad una eccezionale eredità, che ha un ruolo di congiunzione tra la Torino del passato e la Torino che tutti vivono oggi.   

Chiara Parella

Classe ’87, torinese di nascita, ma astigiana di adozione, dopo una formazione classica, si è laureata in scienze e tecnologie agroalimentari presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di marketing e comunicazione e scrive per alcuni blog di settore. Amante da sempre della letteratura latina e della cultura in generale, è autrice del libro “La figlia sfuggente”, il suo esordio letterario (Letteratura Alternativa Edizioni, 2020).

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