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Nella valle di Ribordone, tra fede, richiami storici e tradizioni gastronomiche

RIBORDONE.La salita lungo l’impervia valle di Ribordone, in parte rientrante nei confini del Parco Nazionale del Gran Paradiso, comincia all’altezza di Sparone, centro abitato della valle Orco, anticamente detta valle di Locana. Da qui si diparte la strada che conduce alle quattordici frazioni del comune sparso di Ribordone, terminando agli oltre 1300 metri d’altezza della conca di Prascondù, dove sorge il santuario mariano dedicato alla Madonna di Loreto, una delle più frequentate mete devozionali del Canavese.

Il santuario Mariano di Prascondù

L’itinerario si snoda in uno scenario affascinante, tra scoscesi fianchi montani rivestiti di fitti boschi, in cui, sino a una certa quota, è preponderante la presenza del castagno, sino a raggiungere Gabbadone, la località che ospita il municipio, dove si può ammirare l’elegante ponte romanico in pietra a picco sul rio Bordone. Superata la frazione più popolosa, Talosio, si giunge alla conca di Prascondù, cioè “prato nascosto”, che, come suggerisce il toponimo, si apre inaspettatamente, sorprendendo il viandante.  

Al centro del pianoro, dominato dal monte Colombo, sorge il complesso santuariale dedicato alla Madonna di Loreto, che risale nelle forme attuali alla metà del Seicento, con successivi ampliamenti, dopo che un’enorme valanga aveva travolto la costruzione originaria edificata per iniziativa popolare tra il 1620 e il 1621. L’edificio di culto venne costruito nei pressi del sito, oggi segnalato dalla presenza d’una cappella, dove il 27 agosto 1619, secondo la tradizione, la Madonna apparve al giovane pastore valligiano Giovannino Berrardi.

Attenendosi alle cronache riguardanti l’apparizione, la cui autenticità è riconosciuta dalla Chiesa, il ragazzino, che aveva perso l’uso della parola, ricevette dalla Vergine l’indicazione di recarsi in pellegrinaggio alla Madonna di Loreto, dove andò accompagnato dal padre. Al rientro dal lungo viaggio, giunto in prossimità d’un pilone nei pressi del villaggio natio, guarì prodigiosamente riacquisendo la facoltà di parlare. L’eco dell’avvenimento fu tale da alimentare un intenso moto devozionale, inducendo la comunità locale a farsi carico dell’erezione d’una chiesa, poi ricostruita e trasformata in santuario.

La spiritualità del luogo, intriso di sacralità cristiana, s’intreccia con la permanenza di ataviche superstizioni, testimoniate dal nome d’una radura sopra Ribordone, il Pian delle Masche. Come osserva Pietro Vayra (1838-1898) nel suo studio etnografico sulla stregoneria in Canavese, la credenza nel “potere malefico delle streghe” era, ancora nell’Ottocento, molto viva in queste valli e “per indicare che uno è vittima di qualche malefizio o nella salute o nel bestiame dicono semplicemente gliel’han fatta”. 

La conca di Prascondù, oltre al richiamo spirituale esercitato dal culto mariano, è teatro ogni anno nel mese di settembre d’una sagra dedicata a una tradizione gastronomica locale, legata al consumo della polenta, che si diffuse sulle nostre montagne con l’introduzione del mais dalle Americhe. Protagonista della festa è la buleta, conosciuta in altre zone del Canavese come balòta, una gustosa specialità che unisce due pilastri dell’alimentazione valligiana, la polenta, che è il modo tradizionale di consumare la farina di mais, inadatta alla panificazione, e le tome di latte vaccino. Il procedimento è semplice: dopo aver preparato la polenta, si modellano le palline, farcendole con toma poco stagionata tagliata a cubetti o con il cosiddetto Bross, lavorazione casalinga che mescola avanzi di formaggi vaccini, caprini e ovini, ridotti a crema, lasciati rifermentare e aromatizzati con spezie (e stabilizzati con grappa o vino bianco). Le bulete così ottenute vanno poste ad abbrustolire sulla piastra in ghisa incandescente della stufa (o nella cenere del camino), usando l’accortezza di rivoltarle di quando in quando, in maniera tale che la cottura risulti uniforme e che si crei una croccante crosta esterna.

La cottura della polenta, che nelle famiglie contadine avveniva al mattino, ad opera delle donne di casa, utilizzava come contenitore ideale il paiolo di rame. Proprio nell’Alto Canavese si sviluppò una specializzazione artigianale nella lavorazione di questo metallo, eseguita dai magnin, calderai, che durante la stagione invernale si recavano di cascina in cascina tra Piemonte e Lombardia per vendere pentole, paioli e manufatti d’uso quotidiano, recando anche con sé l’attrezzatura necessaria per la riparazione degli utensili usurati.   

La rievocazione storica che riprende il De Bello Canepiciano

Tornando verso valle, in località Pertia o Pertica, frazione di Ribordone, sorgono le vestigia d’un antico castrum, immerse nella vegetazione, che si fanno risalire al tempo di Arduino, titolare dal 990 della marca d’Ivrea, in precedenza appartenuta agli anscarici, estesa nel Piemonte settentrionale dal Canavese al Ticino. La fortificazione, costruita su una rupe alta un miglio, è descritta come imprendibile dal giurista e cronachista novarese Pietro Azario che nel 1363 la menziona nel De Bello Canepiciano, resoconto della guerra civile canavesana che dal 1339 al 1362 divampò tra le famiglie rivali dei conti di Valperga, aderenti al partito ghibellino  e appoggiati dal marchese del Monferrato, e dei conti di San Martino, affiliati alla fazione guelfa e sostenuti da Acaia e Savoia, entrambe discendenti dal ceppo dei conti de Caneves o de Canepicio formatosi nell’XI secolo.

La Rocca di Sparone

Legata alle gesta di Arduino, figura sospesa tra storia e mito, è la vicina Rocca di Sparone, in antico collegata al castello di Pertia, con le rovine della fortezza e la romanica chiesa di Santa Croce. Arduino, consacrato re d’Italia nel 1002 a Pavia con l’appoggio di una vasta schiera di vassalli minori (secundi milites) e in disaccordo con i vescovi di parte imperiale (Vercelli, Novara, Ivrea), andrò allo scontro con l’imperatore germanico, Enrico II, rimediando una cocente sconfitta e cercando in seguito riparo tra le montagne canavesane, dove per due anni, tra il 1004 e il 1005, si asserragliò proprio nella roccaforte di Sparone, da cui batteva moneta e emanava diplomi. L’impresa di Arduino, che dovette alla fine cedere alle soverchianti forze imperiali, ritirandosi nel 1014 a vita monastica nell’abbazia di Fruttuaria a San Benigno Canavese, venne proiettata nella dimensione del mito, fornendo spunto a feste e rievocazioni che ancor oggi attestano il radicamento del personaggio e delle sue imprese nell’immaginario collettivo.  

Pont è sovrastato dall’elegante struttura in pietra della torre Ferranda

La prima citazione scritta del comune di Ribordone, contenuta in un documento trecentesco, si riferisce però a un altro avvenimento famoso della storia del Canavese, che coinvolse anche queste valli: le rivolte dei contadini canavesani, note come “Tuchinaggio”, forse dal piemontese tucc un, tutti uno, a evocare l’unità di intenti dei ribelli, o forse, secondo altri, mutuato dal francese tuchins, a sua volta derivato dal latino tardo tuchinus, predone, vocabolo comparso nel Midì francese per designare le insurrezioni popolari in Linguadoca e Alvergna. Il Tuchinaggio, esploso nella seconda metà del Trecento, è una realtà di non facile lettura, che s’inserisce nel quadro d’un secolo tormentato, in cui le mai sopite tensioni tra i Valperga e i San Martino s’intrecciavano con i disegni egemonici di Acaia, Savoia e Monferrato. Il malcontento popolare, acuito dalla crisi economica e dal succedersi delle pestilenze a partire dal 1348, sfociò in disordini, assalti ai castelli, impiccagioni, placandosi solo con l’intervento del conte di Savoia Amedeo VII che definì la vertenza con la Convenzione di Ivrea del 1391.

Il borgo antico di Pont

Imperdibile, scendendo verso la pianura, è infine il borgo antico di Pont Canavese, punto nevralgico di attestamento delle valli Soana e Orco. Il paese è sovrastato dall’elegante struttura in pietra della torre Ferranda, che fu proprietà dei Valperga, e della torre Tellaria, appartenuta ai san Martino, principali elementi superstiti di un articolato complesso di fortificazioni, la cui dualità riflette la coesistenza in loco dei due potenti e litigiosi consortili, titolari pro indiviso del feudo di Pont e delle valli sin dall’investitura di Enrico v nel 1110.

Le mitiche Giuraje nella storica pasticceria Perotti di Pont

Oltre a una visita alla bellissima via porticata, un tempo detta Via del Commercio, che attraverso il nucleo medievale di Pont, si consiglia una sosta alla storica pasticceria Perotti: tra le specialità proposte, che annoverano il Pandolce del Gran Paradiso e i torcetti canavesani, risaltano le mitiche Giuraje, confetti tradizionali dell’alto Canavese che vengono ottenuti inserendo le nocciole Piemonte Igp, ingrediente principale, all’interno di un’apposita “bacina” di rame che, fatta ruotare e scaldata, facilita con il suo movimento rotatorio l’adesione dello speciale sciroppo, a base di acqua e zucchero e spolverato di farina, alla superficie esterna della nocciola. Caratteristica dei matrimoni canavesani era un tempo l’usanza delle Giuraje e vin: durante la festa dell’addio al celibato i confetti venivano immersi nel vino, lasciando che la bevanda, impregnata di zucchero, si addolcisse, e passando poi la scodella ai vari commensali. 

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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