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E’ l’anno del Dolcetto, il vino con 12 denominazioni d’origine

E’ cominciato con presentazioni, incontri e degustazioni l’Anno del Dolcetto, iniziativa pensata dalla Regione Piemonte in collaborazione con il sistema di Consorzi di Tutela, Enoteche Regionali e Botteghe del Vino per la promozione di questo importante vitigno a bacca nera che oggi vanta sul nostro territorio all’incirca 3800 ettari di superficie coltivata.

Il plurisecolare legame del Dolcetto con la tradizione vinicola piemontese trova conferma in diversi documenti che ne attestano la presenza sin dal XVI secolo: già l’astigiano Giovan Giorgio Alione, poeta, drammaturgo, letterato, vissuto tra il 1460/70 e il 1529, autore di opere in francese e piemontese, citava in una delle sue commedie il Dosset de Mongardin, paese alle porte di Asti.

Il nome dell’uva, Dolcetto, può trarre in inganno perché non ha alcuna attinenza con i caratteri del vino prodotto, ma secondo la tesi più accreditata deriva dal piemontese dossèt, che non allude al sapore del vino, bensì alla delicatezza dell’acino. Di maturazione precoce, con buccia sottile, bassa acidità e tannini concentrati nei vinaccioli, l’uva Dolcetto presenta un’elevata concentrazione zuccherina, risultando quindi più dolce al palato rispetto ad altre varietà e venendo particolarmente apprezzata, in passato, come uva da tavola. Proprio la precocità di maturazione fa sì che i grappoli di Dolcetto siano i primi ad essere raccolti, perché raggiungono prima di altre varietà un livello di zuccheri adeguato per l’avvio della vendemmia.   

Le caratteristiche organolettiche dell’uva Dolcetto, in particolare la bassa acidità e la ricchezza in tannini, ne determinò altresì il successo, tra gli anni Venta e Trenta del Novecento, quand’erano in voga, nelle terapie curative a base di uva, trattamenti oggi noti come “ampeloterapia”.

Dobbiamo poi registrare una seconda ipotesi etimologica, che fa derivare Dolcetto da “piccolo dosso”, altura poco pronunciata, con allusione all’habitat ideale del vitigno, che però, essendo resistente, prospera anche a quote più alte e in climi più freschi, spingendosi sino alla fascia preappenninica. Fu questa prerogativa che indusse i marchesi di Clavesana ad introdurlo in alta valle Arroscia, su terrazzamenti che s’inerpicano sino a 7/800 metri d’altezza, sancendo così la nascita del Dolcetto in versione “ligure”, detta Ormeasco (da Ormea, che però si trova in Piemonte in alta valle Tanaro). L’Ormeasco è infatti considerato dagli ampelografi come fratello “gemello”, dal punto di vista genetico, del Dolcetto, con acini che a maturazione cadono facilmente a terra o vengono decimati da storni e vespe, attratti dalla loro dolcezza. Si ipotizza dunque, pur in assenza di prove certe, che proprio dalle terre di confine con la Liguria il Dolcetto si sia gradualmente espanso verso il Piemonte, conquistando spazi sempre più importanti.  

Giorgio Gallesio nella sua opera Pomona Italiana, trattato degli alberi fruttiferi, pubblicata a fascicoli dal 1817, ne conferma l’origine autoctona, definendola “Vitis vinifera Aquaestatiellaensis” e localizzando la culla del Dolcetto, un tempo noto nel milanese come Uva d’Acqui e a Genova come Uva del Monferrato, nel basso Piemonte: questo, tra Langhe, Monferrato, Astigiano e Tortonese, è rimasto anche in seguito il suo bacino d’elezione, malgrado il Dolcetto si sia propagato e ben acclimatato anche nel Pinerolese e, in rari casi, fuori Piemonte (si trovano piccole colture nell’Oltrepò Pavese, area limitrofa al Piemonte, e in Sardegna).      

Per lungo tempo lo si ritenne imparentato con il Douce Noir, vitigno a bacca nera della Savoia, ma recenti analisi hanno smentito, negando anche l’affinità con la Bonarda argentina, che in realtà discende dall’uva savoiarda. Rarità ampelografica è poi il Nibiò d’la Picùla Rùsa che, a dispetto del nome, non è un Nebbiolo, ma un biotipo di Dolcetto con grappoli dal peduncolo rosso, da cui nelle terre tra Gavi e Novi si ricava un vino corposo, talora assemblato al Barbera.

Con la ricostituzione post-fillossera del vigneto piemontese, il Dolcetto arretrò, perdendo superficie coltivata a vantaggio del Barbera, ma comunque resistette in quelle aree da cui oggi prendono origine le dodici denominazioni, tre Docg e nove Doc (che, secondo voci autorevoli, si apprestano a subite a breve un riordino e una conseguente riduzione numerica a fini di maggiore razionalizzazione): Dogliani Docg, Dolcetto di Diano d’Alba o Diano D’Alba Docg, Dolcetto di Ovada Superiore o Ovada Docg, Dolcetto d’Alba Doc, Dolcetto d’Asti Doc, Dolcetto d’Acqui Doc, Colli Tortonesi Dolcetto Doc, Langhe Dolcetto Doc, Monferrato Dolcetto Doc, Pinerolese Doc Dolcetto, Dolcetto di Ovada Doc e il Piemonte Dolcetto Doc.

Si noti che nelle aree in cui i produttori riservano al Dolcetto i terreni meglio esposti, tra cui Ovada, Diano d’Alba e Dogliani, si tende oggi a designare il vino con il nome della località e non con quello del vitigno madre.

Per sostenere e accompagnare l’iniziativa, volta a restituire al Dolcetto il posto che merita nel novero dei grandi rossi piemontesi, è stata creata un’etichetta istituzionale, disegnata dall’artista Simone Monsi, che vuole essere un omaggio alla cultura vitivinicola del Piemonte e che potrà essere utilizzata dai produttori come immagine rappresentativa in occasione di convegni, fiere, saloni. L’etichetta contiene tredici segni grafici stilizzati, dalla forte carica simbolica, che rimandano alla sapienza imprenditoriale, al legame con il territorio, ma anche alle idee di passione e di convivialità ispirate al mondo del vino.

Una veduta dalle colline di Diano d’Alba

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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