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La storia dei i cri-crì, leccornie con l’anima di nocciola e una veste di “mompariglia”

La specialità dolciaria, avvolta come una caramella in un luccicante involucro di carta stagnola colorata, ha un nome che sembra legato ad una romantica storia d’amore tra uno studentino torinese ed una sartina di nome Cristina

TORINO. C’è una specialità dolciaria al cioccolato, tutta torinese, che meriterebbe un riconoscimento e una notorietà superiore, e alla quale, al pari del giandujotto, bisognerebbe riconoscere la palma dell’originalità e della squisitezza. Forse perché è stata a torto considerata un prodotto “stagionale” (che trova il suo apice di apprezzamento nel periodo natalizio), sta di fatto che la sua fama, a partire dai giorni successivi all’Epifania, spesso sfuma in una sorta di oblio, per poi ritornare in auge a fine anno, a partire dalla Festa dell’Immacolata.

Non vi svelo subito il nome. Vi tengo angora un po’ sul tiro. Ma se vi dico che è una particolare pralina che nasconde nell’anima una nocciola tostata, ricoperta di cioccolato al latte, e con una veste di perline di zucchero, bianche o variopinte, il tutto incartato in una piccola carta stagnola colorata, dai bordi sfrangiati, beh, sicuramente avrete intuito che stiamo parlando dei cri-crì.

I “cri-crì” sono sempre stati un mito per tutti i bambini, soprattutto per quelli d’altri tempi, che come noi, avevano imparato a conoscerli perché erano nascosti tra i rami dell’albero di Natale, e che venivano usati come addobbi, accanto alle palline di vetro e alle candeline di cera (che a quei tempi – con grave rischio d’incendio – ancora si accendevano con i cerini). Noi che, quando mamma non vedeva (o meglio fingeva di non vedere), ne toglievano uno di tanto in tanto dai rami, per gustarcelo di nascosto, per poi trovarci con l’albero quasi spoglio nella notte di Gesù Bambino.

Il “cri-crì”, questa particolare e deliziosa pralina avvolta nella luccicante carta stagnola, in effetti, nasce a Torino negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, come prodotto tipico da consumarsi nel periodo natalizio, e da utilizzarsi anche come decoro per l’albero di Natale. Visto il suo successo, entrò presto nei cataloghi di De Coster, Caffarel e Talmone e di altri produttori di cioccolato.

La Piemônt, fondata nel 1948, l’ha ormai riportata al successo e alla notorietà che si merita, diffondendone il consumo anche negli altri periodi dell’anno. In proposito, così afferma Alessandro Fioraso, maître chocolatier e portavoce di Piemônt (artista a tutto tondo: è anche valente pittore ed appassionato tanguero): «Il cri-crì e la Piemônt sono oramai parte del mio Dna, ma il merito di questa bella realtà non è solo mio: senza la mia famiglia, i miei fratelli Dario e Valerio, e tutti coloro che collaborano in azienda, questa bella storia non si sarebbe scritta e bisogna dar merito a tutti. Io sono sempre stato il portavoce e ho curato le relazioni con l’esterno per cui rappresento l’azienda, ma dietro le quinte c’è un grande impegno da parte di tutti…». Davvero un maestro di vita, oltre che della lavorazione del cioccolato, il sig. Fioraso, nonché esempio emblematico di umiltà e understatement tipicamente subalpini.

Un dipinto di Alessandro Fioraso

Tornando al cri-crì, il suo incarto di stagnola argentata suscita certamente curiosità, così come il suo delicato e invitante rivestimento di piccole sferette di zucchero (mompariglia). Ma la vera chicca è raccolta al suo interno di cioccolato al latte: una deliziosa nocciola tostata. L’origine del suo nome è molto probabilmente onomatopeico: la pralina “cri-crì” sarebbe stata così chiamata per il suo suono croccante e delicato che si genera quando viene addentata.

Ma ci piace dar credito a quella curiosa leggenda metropolitana secondo la quale il suo nome resta legato ad una romantica storia d’amore, quella sbocciata tra uno studentino dell’Ateneo torinese ed una sartina di Via Po, di nome Cristina, che lui chiamava affettuosamente Cri-crì. La ragazza era follemente ghiotta di quelli praline rivestite di granella di zucchero, ed il suo giovane fidanzato era solito fargliene dono, passando molto spesso in confetteria a far rifornimento. Divenuto un cliente abituale di quella cioccolateria del centro, il giovanotto finì per confidare alla proprietaria il nome della sua amata, la destinataria delle praline. Da quel giorno, si chiamarono ufficialmente “cri-crì”. Una bella storia davvero, e molto torinese.

Ed ora, permetteteci un consiglio: per gustare i “cri-crì”, non aspettate il prossimo Natale.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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