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Dicembre 1798, inizia l’occupazione napoleonica di Torino

Duecentoventuno anni fa, il 9 dicembre, iniziava l’occupazione. A re Carlo Emanuele IV non restava che prendere malinconicamente la via dell’esilio. Quando nel maggio dell’anno seguente le truppe cosacche liberarono la città, parve che il vento del destino ricominciasse a soffiare di nuovo in favore dei Savoia. Ma le vicende della storia presero un’altra piega

Il 15 maggio del 1796, il re Carlo Emanuele IV, di fronte alla forza travolgente delle truppe napoleoniche, aveva finito per sottoscrivere a Cherasco una poco onorevole pace con la Repubblica Francese, e suo malgrado, onde evitare il peggio, aveva accettato di cedere ai transalpini la Savoia, la Contea di Nizza, Cuneo, Alessandria, Tortona e Ceva. Carlo Emanuele IV ben sapeva che quanto gli restava del suo regno, poteva ridursi ancora, o peggio, diventare completo retaggio degli arroganti vicini, animati da spiriti rivoluzionari e anti-monarchici. Non solo: il re sapeva anche che il suo trono era in pericolo, e che in serio pericolo era pure la sopravvivenza fisica della sua stessa persona. Aveva subìto un primo tentativo di congiura il 22 gennaio 1797: i congiurati si erano appostati addirittura nella Cappella Reale, ove era custodito il Santo Sudario, per aggredire e far strage delle Guardie che scortavano il sovrano e rapire il Savoia. Ma l’agguato fu sventato. Nemmeno sei mesi dopo, il 1° giugno 1797, venne sventato un altro assalto, mentre il re, con il suo seguito e la sua scorta armata, era in viaggio in carrozza sulla stradale di Rivoli. I capi-popolo furono catturati, tranne uno, e condannati al patibolo.

Il generale Guillaume Marie-Anne Brune

Ma la caduta della monarchia era solo questione di tempo. Nella primavera del 1798, il generale Guillaume Marie-Anne Brune occupava la Cittadella. Il 3 luglio dello stesso anno, nel massiccio baluardo difensivo della città, vi si installarono le truppe del generale Emmanuel de Grouchy, il quale dopo avervi fatto trovare riparo tutti i militari francesi disseminati in città, rivolse tutte le bocche da fuoco di cannoni e spingarde verso le case di Torino, minacciando di bombardarla e raderla al suolo, facendo strage di civili in caso di mancata sottomissione all’esercito occupante.

La resa era imminente, anche se non arrivò così repentina. Il 7 di dicembre 1798, il Corpo Decurionale emanava l’ultimo manifesto della municipalità torinese prima della definitiva caduta della città, con l’ordine regio di chiamata alle armi di tutti i reggimenti provinciali “per far fronte all’irrompere delle galliche schiere” (Alberto Viriglio, Torino Napoleonica, Lattes & C. Editore, Torino, 1905; ristampa Viglongo, Torino, 1989). Ma Grouchy la sapeva lunga: uscito con il suo esercito dalla Cittadella, occupò l’Arsenale e tutte le porte della città, mentre stavano giungendo a Torino i rinforzi al comando di Barthélemy Joubert. Per Carlo Emanuele IV era davvero finita: non gli rimaneva che rinunciare “volontariamente” al trono, ed avviarsi sulla via dell’esilio. Sarebbe malinconicamente partito già la sera successiva, riparando in Sardegna, sotto la protezione inglese.

Il generale Barthélemy Joubert

Il 10 Dicembre 1798 (o meglio il 20 frimario dell’anno VII dalla Proclamazione della Repubblica Francese), vale a dire un solo giorno dopo la partenza del re per l’esilio, nasceva a Torino il Governo Provvisorio, nominato dal generale Grouchy. Era fondato, si conclamava, sui pilastri (rivelatisi poi illusori) di ritrovate libertà, virtù e uguaglianze. Il primo “albero della liberta”, tra il tripudio dei patrioti torinesi, fu elevato in Piazza Castello, divenuta place Nationale, cui seguì la spontanea erezione di decine e decine di alberi della libertà nelle pubbliche piazze, nei giardini, nei cortili privati, persino al Manicomio, e nel Ghetto ebraico.

Il generale Emmanuel de Grouchy

A partire da quel mese di dicembre di 221 anni fa, i Torinesi cessarono di chiamarsi monsù, tòta, madama e madamin: erano diventati tutti, dal più snob degli aristocratici all’ultimo dei popolani, semplici cittadini e cittadine. Fu cambiato immediatamente anche il calendario: l’anno iniziava il 22 settembre, ed ogni mese era ora suddiviso non più in settimane, ma in decadi. Ogni mese assumeva nomi di fantasia che scandivano i cambiamenti climatici stagionali: vendemmiale, brumale, frimario o frimale (per i mesi d’Autunno); nevoso, ventoso, piovoso (per quelli invernali); germile, fiorile, pratile (per quelli primaverili); messidoro, termidoro, fruttidoro (per quelli dell’Estate). Fu così fino al 1° gennaio 1806, quando venne ristabilito il tradizionale calendario gregoriano.

Pochi giorni dopo quello storico 10 dicembre, il Governo Provvisorio della Nazione Piemontese stabiliva che il 21 gennaio di ogni anno doveva essere considerato un giorno festivo per celebrare l’anniversario dell’esecuzione del tiranno Capeto. Il Governo Provvisorio del Piemonte cessò la sua attività il 3 aprile 1799: il Commissario della Repubblica Francese a Torino, Giuseppe Musset, spartì il Piemonte in quattro Dipartimenti: quello dell’Eridano, quello della Sesia, quello della Stura di Demonte, e quello del Tanaro.

Ma solo un paio di giorni dopo, però, mentre Napoleone era coinvolto nella Campagna d’Egitto, le sorti dell’esercito francese, impegnato contro gli Austro-Russi sotto Verona, presero una brutta piega. I francesi ebbero la peggio e dovettero ritirarsi, mentre le truppe di Gouchy, furono costrette a ripercorrere la strada del Forte di Fenestrelle per ripiegare verso la patria. Il resto dell’esercito francese restava asserragliato nella Cittadella.

Il maresciallo russo conte Alessandro Souwarow-Kiminschky, supportato dall’artiglieria posizionata sulla spianata del Monte dei Cappuccini, e dalla milizia cittadina, nella tarda sera del 26 maggio 1799, riesce ad entrare in città, tra gli osanna dei torinesi (evidentemente riscopertisi in gran parte monarchici) che acclamano i cosacchi e gli alleati croati come dei liberatori. Il 29 maggio venne abbattuto l’albero della libertà in piazza Castello. Dopo 25 giorni di resistenza, anche gli ultimi francesi arroccati nella Cittadella si arresero. In concomitanza con la festa della Consolata, venne celebrato nel Santuario un solenne Te Deum.

Torino, dunque, era libera. Ma era solo un’altra illusione di libertà. Perché i Francesi si sarebbero ben presto riconfermati padroni del Piemonte. Ne parleremo magari in un prossimo articolo, limitandoci qui a qualche anticipazione: neppure due anni dopo l’entrata di Souwarow in Torino, nell’aprile del 1801, i Francesi – tornati a Torino – abbatteranno la Torre Civica di San Gregorio, risalente al 1375, simbolo della storia e dell’autonomia della città: svettava lì all’angolo tra via Dora Grossa e via San Francesco d’Assisi da oltre 400 anni! E ancora: l’11 settembre 1802, il Senato di Francia delibererà che i sei Dipartimenti in cui intanto era stato frazionato il Piemonte sarebbero diventati territorio metropolitano, integrato cioè nella Repubblica Francese. Nelle cronache del già citato saggio di Alberto Viriglio, Torino Napoleonica, si legge: “I Torinesi si assieparono plaudenti e deliranti di giubilo sul passaggio del policromo corteo di funzionari civili e militari, avviati al Duomo Metropolitano, sulla cui fronte trionfavano alle tre porte queste iscrizioni: Réunion du Piémont à la Republique Française: Gloire à l’Éternel | Tolérance | Concorde”.

La volubilità dei popoli talora ci sorprende. Ma erano molti i torinesi delusi che già da un po’ cominciavano a brontolare: “Liberté, égalité, fraternité: ij Fransèis an caròssa e noi a pé”.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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