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Dalla prima chiesa clandestina alle 350 parrocchie torinesi

TORINO. Difficile affermare quando e dove nacque la prima chiesa cristiana a Torino. Così come è difficile stabilire il momento preciso in cui il Vangelo cominciò ad essere annunziato nella romana e semibarbara Augusta Taurinorum. E’ però assai probabile che i primi contatti della popolazione che abitava le terre in prossimità della confluenza del Po e della Dora con gli evangelizzatori cristiani possano essere avvenuti, anche qui come altrove, già alla fine del primo secolo.

I protomartiri soldati Solutore, Avventore e Ottavio, i cosiddetti “protomartiri di Torino”, quasi sicuramente torinesi non erano, in quanto appartenevano alla Legione tebea, al comando di Massimiano, prima generale di Diocleziano e poi lui stesso imperatore romano: molto più probabilmente erano egiziani (o nordafricani), perché quella legione era essenzialmente costituita da cristiani arruolati nella Tebe d’Egitto.

Un dipinto dedicato ai protomartiri torinesi

La schiera dei soldati tebani fu inviata nel 286 dall’imperatore Massimiano sul versante settentrionale del Gran San Bernardo per domare la rivolta dei locali Galli Celti, i Bagaudi, ma lì i militi si sarebbero rifiutati in massa di adorare l’effigie dell’imperatore. A cominciare dal loro comandante Maurizio, furono sottoposti a decimazione; i superstiti si sarebbero dispersi in varie zone ai piedi delle Alpi – soprattutto tra Torino ed Ivrea – trovandovi successivo martirio ad opera delle stesse popolazioni della zona, all’epoca pagane. Furono oltre quattrocento i martiri, in gran parte di origine nilotica, che ancor oggi godono di fervente venerazione in vari paesi e città subalpine: Alessandro, Essuperio, Magno, Candido, Dalmazzo, Besso, Costanzo, Fedelino, Marchese, Chiaffredo, Porzio, Valeriano, Donnino, Barolo, Restituto, e tanti altri ancora, tra i quali i già citati  Solutore, Ottavio e Avventore.

Evangelizzare quella gente taurina non dev’essere stata un’impresa facile, visto il plurisecolare e radicato preesistente culto di antiche divinità celtiche, romane e persino egizie. Certo, le prime chiese torinesi, come tutte le chiese paleocristiane, dovevano essere più che altro delle cellule oratorie, luoghi di culto ricavati in ambienti angusti e clandestini, come cantine, botteghe, locali comunque appartati; non è nemmeno da escludere che i primi cristiani di Torino si riunissero all’aperto in qualche radura nella boscaglia che ricopriva le colline sulla sponda destra dell’Eridano, oppure in qualche grotta, cavità o anfratto naturale di quei colli, allora ricoperti da una fitta e selvaggia vegetazione. Pare che i “protomartiri di Torino” abbiano subito il martirio sulle sponde della Dora.

La preghiera ai Santi Martiri

Alcuni storici affermano che Solutore, scampato in un primo tempo all’eccidio, sia stato inseguito e poi raggiunto, catturato e giustiziato ad Eporedia, l’attuale Ivrea. In ogni caso, le ossa di questi martiri torinesi furono pietosamente raccolte da una matrona cristiana, di nome Giuliana, e conservate in una piccola chiesa che sorgeva nei pressi dell’attuale Cittadella: forse la primordiale – per quanto angusta − vera e propria chiesa di Torino, dove si riunivano in preghiera i taurini divenuti cristiani. Le reliquie dei tre santi, nel 1536, vennero poi traslate nella Chiesa di Sant’Andrea, di cui ci resta il solo campanile (che ora funge da torre campanaria per la Consolata), e più tardi, nel corso del XVI secolo, ulteriormente trasferite nella Chiesa dei Santi Martiri, edificata a cura dei Padri Gesuiti in onore dei tre santi.

La Chiesa dei Santi Martiri; sotto, l’interno dell’edificio sacro

Ma quali furono i primi vescovi della comunità cristiana torinese? Secondo la maggior parte degli storici, il primo vescovo di Torino sarebbe stato San Massimo, che avrebbe retto la Cattedra torinese per oltre cinquant’anni, tra il 415 e il 470 d.C. Secondo lo storico Francesco Pingone (1525 – 1582), storiografo di Casa Savoia, il primo vescovo torinese sarebbe stato invece San Vittore. In ogni caso, la diocesi di Torino era molto ampia, e si estendeva in quasi tutto l’attuale Piemonte: a Oriente, da Ivrea a Vercelli e Casale; a Mezzogiorno, da Asti e Alba ad alcune città liguri; a Settentrione, fino alla Savoia; e a Occidente, fino ai confini francesi.

Il primo concordato tra le autorità ecclesiastiche e quelle amministrative della città venne stilato nel 1258, tra Gotofredo, preposto del Capitolo Metropolitano, e Giacomo di Grassano, podestà di Torino. Sul finire del XIV secolo, la diocesi di Torino contava 568 chiese. Le parrocchie erano tuttavia in numero molto inferiore: circa un centinaio, di cui tredici a Torino. Nel 1518, papa Leone X eresse il Vescovato di Torino in Arcivescovado, dichiarando la Diocesi torinese “Chiesa metropolitana”: il primo prelato insignito di tale titolo fu monsignor Giovanni Francesco Della Rovere.

Alla fine del ’500, la piccola capitale del Ducato contava quindici chiese parrocchiali. L’Episcopio, con la Curia ed i Tribunali ecclesiastici, era posizionato nell’edificio attiguo a Palazzo Reale, ancor oggi chiamato Palazzo del Vescovo ed ora inserito nel plesso dei Musei Reali di Torino, in cui ha trovate sede la Galleria Sabauda. Vi tennero stanza i vescovi di Torino fino all’occupazione francese del XVI secolo, allorché i generali di Francesco I, re di Francia, fecero sgombrare il palazzo, per porvi la sede del loro comando. Con la riconquista dei territori già occupati dai francesi ad opera del duca Emanuele Filiberto, dopo la vittoriosa battaglia di San Quintino in Piccardia (10 agosto 1557), e il trasferimento della capitale del ducato da Chambéry a Torino (1563), il palazzo restò tuttavia a disposizione del duca e della corte sabauda. Solo nel 1777, per concessione di Vittorio Amedeo III,  il “Palazzo del vescovo” tornò ad accogliere la Curia metropolitana.

Il duca Emanuele Filiberto di Savoia

Qualche decennio prima, nel 1741, venne stretto un accordo tra papa Benedetto IV e Carlo Emanuele III, sulla materia beneficiaria e feudale, sulle competenze del Foro Ecclesiastico, sulle immunità ecclesiastiche e sulle estradizioni dei rifugiati nelle chiese. Alla fine del 1700, Torino contava diciotto parrocchie. Alla fine dell’Ottocento le chiese parrocchiali raggiunsero il numero di quaranta, di cui venticinque urbane e quindici suburbane.

Al giorno d’oggi, le parrocchie dell’Arcidiocesi Metropolitana di Torino sono 350, per la gran parte localizzate nella Città Metropolitana di Torino più qualche parrocchia posizionata  nell’enclave delle province di Asti e Cuneo. Le parrocchie sono raggruppate in 64 unità pastorali, che a loro volta formano 26 Zone vicariali. Le Zone vicariali sono raggruppate in 4 Unità pastorali, di cui l’area urbana torinese (con circa novanta parrocchie), occupa il Distretto centrale, mentre gli altri tre sono ripartiti secondo i punti cardinali:
Distretto pastorale Torino città
Distretto pastorale Torino nord
Distretto pastorale Torino sud-est
Distretto pastorale Torino ovest

L’attuale popolazione complessiva dell’intero territorio diocesano si aggira intorno ai due milioni di abitanti (nel 2001 erano oltre 2,1 milioni).

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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