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Come ci divertivamo un secolo fa: “Ël gieugh dël quìndes”

L’intramontabile rompicapo battezzato il “gioco del quindici” ha quasi 150 anni di vita. Ecco come è nato e come ha conquistato intere generazioni di ragazzi

L’inventore. I ragazzini torinesi degli anni Cinquanta e Sessanta lo chiamavano ël gieugh dël quìndes, ovvero il gioco del quindici. Ma il nome originale di questo classico e intramontabile rompicapo (creato nel lontano 1874 da un postino in servizio a Canastota, un piccolo villaggio della Contea di Madison nello Stato di New York) era “fifteen puzzle”, che significa “rompicapo del quindici”.

Quel geniale postman si chiamava Noyes Palmer Chapman, ma come spesso accade a svantaggio della gente semplice, fu un’altra persona ad intuire che quel piccolo passatempo da passeggio poteva essere sfruttato dal punto di vista commerciale. E anche in questo caso accadde così: il gioco del quindici diffuso qualche anno più tardi da Samuel Loyd, appassionato enigmista ed inventore di diversi rompicapi.

Le regole. Il gioco del quindici è composto da una tabellina di forma quadrata, originariamente di legno o resina, in seguito più frequentemente realizzato in plastica, su cui sono disposte 15 piccole tessere quadrate scorrevoli sia orizzontalmente, sia verticalmente. Le tesserine sono numerate da 1 a 15: in genere, quelle con i numeri dispari hanno un colore diverso da quelle con numeri pari. Idealmente, la tabellina è suddivisa in quattro righe e quattro colonne, in modo da poter contenere 16 spazi, su cui sono posizionate le 15 tessere quadrate. Uno spazio è vuoto, onde consentire lo spostamento delle tessere (verso destra, sinistra, in alto e in basso). Lo scopo del gioco consiste nel riordinare le tessere in ordine numerico sequenziale, dopo averle “mescolate” in modo casuale, in modo che – alla fine – partendo dalla numero 1 in alto a sinistra e facendo seguire alla prima tutti gli altri numeri, da sinistra a destra e dall’alto in basso, tutte le tessere siano disposte ordinatamente, fino alla 15 tesserina, in penultima posizione, e con lo spazio vuoto in basso a sinistra.

Il gioco è descritto  nel volume Sam Loyd’s Cyclopaedia of 5000 Puzzles, Tricks and Conundrums, pubblicato postumo nel 1914 dal figlio di Loyd (Samuel Loyd junior). Il gioco ebbe subito grande successo, contribuendo alla fama del suo diffusore.

Una curiosità.Loyd mise in palio la cifra di mille dollari a chi fosse riuscito a risolvere una versione del gioco che partiva da una posizione quasi identica a quella finale, ma con i numeri 14 e 15 invertiti. Nessuno si aggiudicò quella posta: Loyd sapeva benissimo che, partendo da quella disposizione delle tessere, la soluzione del gioco sarebbe stata matematicamente impossibile.

Un rompicapo che non invecchia mai. Il gioco del quindici può essere considerato un lontano progenitore del cubo di Rubik, puzzle tridimensionale inventato esattamente cento anni dopo (era il 1974) da Ernő Rubik,  professore di architettura e scultore ungherese. Più semplice e maneggevole del suo lontano pronipote, il gioco del quindici è mai passato di moda, e può essere definito un rompicapo solitario classico, o se vogliamo, uno scacciapensieri. È tuttora commercializzato in moltissime varianti. Ne esiste anche una in cui le 15 tessere, anziché essere identificate da numeri, riproducono una parte di un’immagine, che si compone, proprio come in un puzzle, solo disponendole in modo corretto. Esistono anche varianti con un numero di caselle più limitato, dedicate ai bambini. E per le nuove generazioni digitali, esistono sul web molte versioni software, per personal computer.

Il gioco del quindici, dunque, non invecchia mai, e anzi si rinnova attraverso i decenni.Personalmente, però, ancora rimpiango il mio vecchio gieugh dël quìndes, in plastica un po’ ingiallita, con le tesserine bianche e blu, su cui armeggiavo di nascosto (rischiando una severa nota di biasimo sul diario scolastico) durante certe noiose lezioni di terza media. Ma non ditelo a nessuno.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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