Itinerari del misteroΩ Primo Piano

La leggenda della “maga-regina” sfuggita al padre tiranno e morta nel monastero di Lucedio

 TRINO. Una costruzione intrigante si offre allo sguardo di chi passa per la pianura vercellese: si tratta di Lucedio, un tempo importantissimo complesso abbaziale dei monaci cistercensi e oggi azienda agricola dal nome evocativo di “Principato di Lucedio”. Fondato nel 1123 dai monaci francesi di La Ferté, in Borgogna, strappato alla palude dai monaci stessi, a seguito dell’acquisto del terreno dal marchese Rainero del Monferrato, che aveva intravisto una possibilità di bonificare e manutenere quei terreni senza troppa fatica, l’insediamento vantava un nome già presente nel 904.

Le testimonianze leggendarie sono però precedenti a quella data, e si perdono nella notte dei tempi. Il Parco naturale del Bosco delle sorti della Partecipanza, uno dei rari esempi di foresta planiziale che mostra come doveva essere la Pianura Padana nei tempi antichi, include l’agglomerato di Lucedio e sui testi ottocenteschi si trova spesso il riferimento al bosco sacro già presente in epoca romana e al “luco sacro” dove era forse situato un tempo di Apolline o del dio sole, tanto caro alle antiche popolazioni celtiche. La stessa Vercelli veniva anche chiamata Apollinea e una delle ipotesi è che Lucedio o Locedio significhi proprio luogo sacro; d’altro canto anche Cesare raccontava che i celti adoravano Apollo e non gradivano imprigionare i loro dèi tra le mura di una costruzione, tanto da scegliere boschi, foreste o luoghi dove la vegetazione era lussureggiante per condurre i loro riti.

Altre ipotesi sono più dirette, forse il nome Lucedio deriverebbe da “luce di Dio” oppure da… niente meno che Lucifero, il diavolo. I legami con l’oscura entità esistono anche per quel che concerne la leggenda dell’organo a canne raffigurato nella vicina chiesa della Madonna delle Vigne, dove si trova, affrescato sul muro, uno spartito diabolico: chiunque dovesse suonare la musica raffigurata potrebbe evocare il diavolo se la eseguisse al contrario e imprigionarlo se invece seguisse le note così come sono scritte. 

Da tempo immemore poi si vociferava di messe nere e sacrifici compiuti durante la notte dai monaci di Lucedio, che seppellivano i resti dei malcapitati nel cimitero di Darola. Una quindicina di anni fa anche la trasmissione televisiva Mistero si occupò dei rapporti di Lucedio con il diavolo e pochi anni prima arrivò persino una troupe statunitense per girare un documentario piuttosto sensazionalistico.

Lo spartito del diavolo

C’è però una leggenda poco conosciuta che emerge da un testo del 1673 intitolato “Notizie diverse appartenenti a questo monastero”: quella della regina-strega che morì a Lucedio. Il monaco che scrisse il diario, sosteneva che nella chiesa dei monaci dell’abbazia, dove è situato l’altare, ci fosse un deposito di pietra dove era sepolta una regina che era anche maga. La donna era fuggita dal padre tiranno con appresso un piccolo fanciullo e ogni volta che il padre riusciva ad avvicinarsi, la regina creava con la magia un gran fosso, cosicché il re era costretto a cambiare strada, pensando che la figlia non fosse riuscita ad attraversare e che avesse seguito un altro percorso.

Rifugiatasi a Lucedio, la ragazza morì con il figliolo per cause sconosciute e fu sepolta appunto nella chiesa. Nel 1671 l’abate del monastero, Padre D. Pacifico Carcano, volle aprire il sepolcro per verificare cosa contenesse: si trovarono le ossa di una donna e di un bambino, ma erano molto rovinate, così come la cassa di legno che le conteneva. Accanto ai macabri resti però venne rinvenuto un uovo che sembrava di pietra e uno sperone in ferro con fibbia dorata. Venne richiuso tutto, ma i monaci iniziarono a confabulare sul contenuto della cassa e presto la leggenda prese vita dal passato, si pensava che la donna potesse essere la regina di Patmos o Ipo e che fosse morta nelle vicinanze; forse nel bosco grande, dove ancora nel Seicento si trovava un luogo chiamato “il fosso della regina”. Pare che nel monastero di Lucedio si trovassero anche due staffe di ferro, usate dalla regina per cavalcare e appese al muro chissà quando.

Le risaie circondano Lucedio

Chissà se davvero una donna e un bambino hanno mai raggiunto Lucedio per poi morire subito dopo di qualche strano male, incuriosendo i monaci a tal punto da far nascere una leggenda?

Katia Bernacci
(Immagini di Marino Olivieri)

Per approfondire:
Marco Mietta, Itinerari del mistero Piemonte, Yume edizioni

 

Katia Bernacci

Katia Bernacci, giornalista pubblicista, saggista e ricercatrice indipendente, è attualmente direttrice editoriale della casa editrice Yume. Da anni si occupa di divulgazione in ambito culturale.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio