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Giuseppe Mayno tra storia e leggenda: chi era il Robin Hood piemontese ai tempi di Napoleone

Tra i briganti piemontesi che imperversano in Piemonte nel periodo che intercorre fra la prima campagna napoleonica (1796) e la fine dell’impero del Bonaparte (1814), sicuramente il più celebre è Giuseppe Antonio Mayno, detto Mayno della Spinetta (in dialetto Maien d’la Spinetta), detto pure l’Imperatore della Fraschetta e per i francesi è “il terrore dei dipartimenti al di là delle Alpi”. La citata Fraschetta è la zona pianeggiante (ai tempi prevalentemente boschiva), che si situa nel triangolo fra Alessandria, Tortona e Novi Ligure, mentre Spinetta Marengo, oggi sobborgo e frazione di Alessandria, è il paese natale (si presume intorno al 1784) a colui che sarebbe diventato nell’arco di pochi anni il Robin Hood piemontese. La sua è una famiglia di contadini: il papà si chiama Giuseppe, la mamma Maria Roveda. Secondo taluni Mayno è analfabeta, secondo altri possiede un’istruzione ben superiore alla media dei suoi paesani, avendo passato qualche anno della sua prima giovinezza addirittura in seminario. L’unico dato certo o è che nel 1803, quando è un giovane ventenne (o al massimo ventiduenne) sposa Cristina Ferraris, nipote sedicenne del parroco di Spinetta.

L’Imperatore della Fraschetta avrebbe iniziato ufficialmente la sua attività di brigante proprio il giorno del suo sposalizio, quando essendo venuto meno al divieto delle autorità francesi di portare le armi da fuoco, avrebbe sparato per festeggiare la sposa, e accorsi i gendarmi avrebbe ingaggiato un conflitto a fuoco ferendo o uccidendo un graduato transalpino. In quel periodo, mentre la ben nutrita borghesia cittadina aderisce in buona parte alle “idee francesi”, compreso certo “clero democratico”, il popolino, che subisce sulla propria pelle la nuova forma di oppressione, ha modo di constatare le stridenti contraddizioni fra le parole di libertà ed eguaglianza predicate dai “giacobini” e la realtà dei fatti. Nell’Alessandrino, come nel resto della regione, alcuni detti popolari mettono in evidenza tutto questo. Del tipo, “Libertè, egalitè, fraternitè – i franseis an carosa e i Lisandren a pe'”. I contadini affamati non tollerano certo lo spettacolo offerto dagli invasori: nella Fraschetta, come in molte altre parti del Piemonte, l’odio antifrancese imperversa in modo direttamente proporzionale alla fame e alle angherie dei “liberatori”.

Nel 1799, i contadini con alla testa molti parroci, quando si vota il plebiscito per l’annessione alla Francia i comuni della Fraschetta alessandrina, da Pozzolo Formigaro, Mandrogne, Spinetta, Frugarolo, Castellazzo, fino a raggiungere l’acquese fino a Strevi, si ribellano e disertano il voto. Oviglio, Sezzadio, Castelferro insorgono.

Prima del suo matrimonio e del darsi alla macchia non si hanno notizie certe su Mayno. Si sa soltanto che in quel periodo si dà alla macchina, forse per sfuggire alla leva nell’esercito napoleonico (legge sulla coscrizione obbligatoria del 20 aprile 1802). In breve la sua banda trova affiliati tra coloro che non so no disposti a servire sotto le bandiere delle truppe d’occupazione, arrivando a contare, secondo le cronache popolari, 200 uomini a piedi e 40 uomini a cavallo. Da quel giorno entra nella leggenda popolare come l’eroico bandito che difende i contadini e la povera gente dalle angherie degli occupanti francesi.

Per due anni (esattamente dal 1804 al 1806) la banda di Mayno tiene in scacco la polizia imperiale francese. Secondo i documenti ufficiali, gli assalti e le scorribande dei mainotti, in tutto il territorio alessandrino si intensificarono soprattutto nel 1805, tanto che la gendarmeria e le autorità del Dipartimento di Marengo pongono sulla testa di Mayno e dei suoi complici una taglia di 3000 franchi, scatenando una vera e propria caccia all’uomo, che tuttavia non porta a risultati apprezzabili. In quegli anni Giuseppe ama definirsi Re di Marengo e Imperatore delle Alpi, in sberleffo a Napoleone. Lo stesso Bonaparte, che il 26 maggio 1805 è proclamato re d’Italia nel Duomo di Milano, qualche settimana prima si reca ad Alessandria per la rievocazione della battaglia di Marengo. In quell’occasione, viene informato dalle autorità locali in merito alla difficile situazione concernente l’ordine pubblico. L’imperatore decide quindi di scrivere al proprio ministro di polizia, affinché fornisca alla gendarmeria i mezzi necessari per la ricerca e la cattura dei briganti che grazie alle loro spettacolari azioni diventano sempre più apprezzati dalla gente della Fraschetta. La banda ingrossa velocemente le sue file: uomini di ogni parte d’Italia, che l’eco delle imprese del leggendario bandito di Spinetta inizia a far convergere verso la Fraschetta, dove gli oppositori del nuovo regime possono trovare nascondiglio sicuro.

Tra gli episodi più celebri che riguardano la banda di Mayno c’è l’assalto a una carrozza del papa Pio VII, avvenuto  negli ultimi mesi del 1804 quando il pontefice deve recarsi a Parigi per incoronare Napoleone. Dopo aver soggiornato a Palazzo Ghilini, Pio VII e il suo convoglio attraversano la boscaglia della Fraschetta. Nei pressi di San Giuliano Vecchio, al bivio per Torre Garofoli, una delle vetture al seguito del pontefice viene fermata da finti uomini d’affari (in realtà si tratta di mainotti) che con la scusa di ottenere un passaggio conducono la carrozza in un luogo stabilito dove fanno sparire una cassetta colma di gioielli.

Un’altra famosa rapina interessa una carrozza che trasportava il ministro plenipotenziario presso la Repubblica Ligure, Antonio Cristoforo Saliceti, e il generale Édouard Jean-Baptiste Milhaud. Dopo aver loro intimato di scendere dalla vettura imbracciando il fucile, Mayno, come gesto di scherno, strappa dalla divisa di Milhaud la croce della Legion d’onore per appuntarsela al petto.

In quel periodo il il nome di Giuseppe Mayno è sulla bocca di tutti. La gente ripete che Giuseppe non è nèéun assassino, né un volgare malfattore E che coloro i quali hanno bisogno di denaro possono rivolgersi a lui. La sua lealtà non si discute. In effetti, la generosità di Giuseppe Mayno, si rivela in molte circostanze, così come l’abilità dei travestimenti. Al bandito piace prendersi gioco dei francesi. Una sera si reca in un’osteria camuffato da carbonaio e fraternizza con un  brigadiere e alcuni gendarmi francesi sparlando a proposito di quel delinquente di Mayno. Uscito un attimo da locale, taglia i sottopancia di cuoio ai cavalli delle guardie, tranne quello del loro capo, dopodiché, tornato dentro, svela la propria identità. Approfittando del momento di smarrimento, balza in groppa al cavallo del brigadiere, sparendo nella notte. I gendarmi al momento di infilare il piede nelle staffe per inseguirlo finiscono rovinosamente a terra.

Anche la storia della gastronomia piemontese gli deve qualcosa. Si narra che il noto piatto chiamato ciapulaia (a base di carne di cavallo e vino) sia da attribuire al famoso bandito di Spinetta. Secondo alcuni, i cavalli depredati durante le rapine alle carrozze venivano utilizzati per sfamare, in modo pratico e veloce, i giovani fuorilegge costretti a nascondersi nella selva della Fraschetta.

Mayno viene ucciso nel 1806. Precisamente il 12 aprile. Si sta recando nottetempo all’abitazione della moglie Cristina, quando gli viene tesa un’imboscata, probabilmente favorita da una “soffiata”. Prima di essere ucciso riesce comunque a uccidere anch’egli tre gendarmi transalpini. Il suo corpo, sfigurato dai colpi d’arma da fuoco e dai fendenti di spada, viene esposto per tutta la giornata in Piazza D’Armi ad Alessandria, con appeso un cartello con su scritto “Così finisce Giuseppe Mayno della Spinetta, brigante”. Il suo corpo, gettato in una fossa comune, non sarà mai più rintracciato. Secondo la tradizione popolare non viene ucciso dai gendarmi, ma preferisce suicidarsi con un colpo di pistola piuttosto che cadere nelle mani dei francesi. 

Dopo la sua morte iniziano subito a fiorire leggende e racconti che danno vita a numerose filastrocche, romanzi, barzellette, maschere e produzioni teatrali fino ai nostri giorni.

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