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Birdwatching alla piemontese: i nomi degli uccelli e i proverbi a loro ispirati

Noi piemontesi di città, se vogliamo entrare in contatto diretto con la natura e con le più comuni varietà di uccelli stanziali o di passo del Piemonte, dobbiamo per forza uscire dai confini urbani e farci una bella sgambata in campagna, o quanto meno programmare una camminata esplorativa in qualche parco pubblico (a Torino non mancano, in effetti, ampi polmoni verdi, come il Parco della Pellerina, il Parco Ruffini – o Valentino nuovo, come ancora lo chiamano gli anziani abitanti di Borgo San Paolo – oppure il mitico, romantico “vecchio” Valentino, il Parco Colletta, il Parco della Rimembranza, ed altri ancora), dove, con un po’ di fortuna, è ancora possibile effettuare degli interessanti incontri ravvicinati con molte varietà di uccelli.

Ma chi ha la fortuna di abitare in campagna, e magari fa il contadino, è sicuramente più avvantaggiato nella pratica del birdwatching, con una ben più alta probabilità di incontrare diverse e variegate specie di uccelli: per chi vive in un contesto rurale, diventa addirittura naturale imparare a distinguere i volatili in base al loro modo di volare o di cinguettare, e a riconoscerli, immediatamente, a vista, nel vederli saltellare sui prati.

Chi vive in campagna ha infatti ancor oggi molte possibilità di imbattersi in un nido di passeri, o un nido di rondini sotto la grondaia di un antico fienile o di una abitazione rurale, oppure di essere testimone di voli di colombi che si spostano da qualche cascinale, o di anatre selvatiche in formazione a “V”, o di ammirare stormi di gioiosi stornelli che si ammassano o si dilatano freneticamente, disegnando in cielo figure spettacolari, un po’ come fanno le acciughe in mare quando fanno il “pallone”, e che poi, d’improvviso, si distanziano l’una dall’altra in una diaspora peraltro temporanea. In realtà, alcuni di questi avvistamenti (soprattutto di stornelli, ma anche di gabbiani, anatre e altre specie in volo) possono avvenire anche in città, ma gli spazi, tra le case, sono notoriamente più esegui rispetto ai più vasti e spettacolari orizzonti che si aprono su colli e vigneti, ampi teatri naturali, dove i voli possono essere seguiti e ammirati in pienezza, in tutte le incantevoli evoluzioni.

Come tutte le lingue, anche quella piemontese, per il vasto campionario di varietà ornitologiche locali, dispone di un vocabolario molto specifico e particolare, con termini assolutamente autoctoni, che spesso si discostano fortemente sia dalla lingua italiana che da quella francese, e che talvolta rivelano vaghe assonanze con termini equivalenti di altre lingue romanze sorelle, come il provenzale e l’occitano. Ora proviamo a passarli, brevemente, in rassegna.

Ël merlo è ovviamente l’italianissimo merlo, ovvero il turdus merula, per usare il nome latino scelto da Linneus (ma in piemontese ël merlo – come in italiano, del resto − può essere anche il fidanzatino); il passaròt è invece il nome del passero (in piemontese, del passero esiste solo il diminutivo: passerotto; però, attenzione: pijesse ’l passaròt significa buscarsi un raffreddore).

E ancora: ël coco è il cuculo, quell’uccello pelandrone che depone le uova nei nidi di altre specie, al fine di far nutrire a sbafo da una madre putativa il proprio rampollo, bruttino, ma soprattutto grosso, prepotente e vorace, a scapito dei fratellastri compagni di covata, destinati a morire di fame (in piemontese un coco è anche un uomo sempliciotto). E poi, c’è “ël rè cit”, letteralmente il re piccolo, che in italiano si chiama scricciolo, un minuto uccellino il cui verso è quasi un sibilo sottile: nella tradizione regionale, quand che a canta ’l rè cit, a l’é përchè a stà për pieuve (quando canta lo scricciolo, è perché si annuncia la pioggia).

Ël fringoj è il fringuello; la róndola è la rondine; la sigògna è la cicogna (per ammirare le cicogne, programmate una gita a Racconigi al Centro Cicogne e Anatidi); l’airon è l’airone; la merla biuvà (o merlo pëscador) è il Martin pescatore. E poi: ij tord (o le grive), ij colombass, le tórtore, le quaje, ij canarin, ij cardlin e jë stornej (dal significato − credo – intuitivo), oppure la berta o ajassa (qui è già un po’ più difficile identificare l’italica gazza; in Piemonte il cognome Ajassa o Aiassa è molto diffuso). Pescando dal linguaggio venatorio, troviamo la polëtta d’aqua (la gallinella d’acqua), ël fasan, la përnis, e l’alódola, termini simili all’italiano. Il pich è il picchio (talvolta detto anche picio, senza riferimento, qui, a quell’altro significato che non dico); la sivìtola (questo è un bel termine!) è la civetta; l’oloch è il barbagianni o l’allocco (come del resto capita per l’equivalente epiteto italiano, essere considerato un oloch da un piemontese doc non è un gran complimento). Non possiamo poi dimenticare ël cioch. No, non intendo, in questo caso, l’ubriaco, ma il gufo. E tra i volatili da cortile, ricordiamo ël biro (o pito), cioè il tacchino; l’ania (l’anatra); ël gal, la galin-a e ij pipì (cioè il gallo, la gallina e i pulcini: bellissimo, per questi ultimi, il termine onomatopeico; mangé come ’n pipì significa mangiare come un pulcino); l’òca (inutile la traduzione) e la faraon-a (ovvero, la faraona, intesa come uccello, non come… sovrana d’Egitto).

Non intendevo proporre ai lettori un elenco esaustivo, ma non vorrei tralasciare ël peroross, o pitoross (pettirosso), detto anche picioross (letteralmente picchio rosso), l’upìa (ovvero l’upupa), ël ghé (la ghiandaia), ël farcon (falco)e ’l farchèt ëd montagna (il falchetto di montagna, celebrato in una notissima poesia di Nino Costa, come simbolo di libertà) e, dulcis in fundo, è d’obbligo ricordare sua maestà l’òja (l’aquila), la regina delle Alpi.

Voglio ora chiudere questo articolo con qualche altro proverbio piemontese sugli uccelli:

  • A ògni osel a-j pias sò ni (Ogni uccello ama il suo nido);
  • L’osel an gabia o a canta për amor o a canta për rabia (L’uccello in gabbia o canta per amore o canta per rabbia): personalmente credo che canti soprattutto per stress;
  • Quand che a canta ’l merlo, i soma fòra dl’invern (Quando canta il merlo, si è fuori dell’inverno);
  • Se ’l gal as grata ’l daré, la pieuva a peul nen tardé (Se il gallo si gratta il sedere, la pioggia non può tardare);
  • Tuti j’osej a canto (Tutti gli uccelli cantano), proverbio marcatamente lapalissiano, eppure così efficace nella sua sintesi; il senso è: ognuno dice (o vuol dire) la sua;
  • Na piuma a la vòlta, as piuma l’òca (Una piuma alla volta, si spenna l’oca);
  • A l’è mej un frangoj an man che na griva da lontan (É meglio un fringuello in mano che un tordo da lontano);
  • Galin-a veja a fa bon breu (Gallina vecchia fa buon brodo).

Così come l’elenco dei nomi degli uccelli in lingua piemontese, anche questo elenco di proverbi di stampo… ornitologico, è assolutamente incompleto. Ma spero di avervi dato almeno uno spunto per farvene venire in mente qualcuno anche a voi.  Se siete piemontesi, e magari avete antenati contadini, saprete sicuramente aggiungere voi stessi qualche altro proverbio (o nome di uccello) a ciascuna delle due liste riportate. Provateci.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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