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4 maggio 1949: nasce la leggenda del Grande Torino

TORINO. C’è una squadra a cui è legato l’immaginario di tutti gli amanti del calcio italiano. Una squadra che per mito e grandezza non ha eguali. Più forte dell’Ungheria di Puskas, più leggendaria del grande Real Madrid o dell’Olanda di Crujff, più vincente della Juventus di Platini, entrata nella storia con la forza lacerante che solo le tragedie sanno imprimere.

Il 4 maggio del 1949 il Torino di Mazzola, Loik, Gambetto e Ossola e tantissimi altri campioni, incontra il proprio destino. Un pomeriggio piovoso, quello del 4 maggio 1949, con le nuvole basse che nascondono Superga. Un aereo riporta a casa i giocatori del Torino dalla partita di Lisbona. Un errore di rotta di una decina di metri e l’apparecchio si schianta ai piedi della basilica. Tutt’attorno, sotto la pioggia fitta, sono sparse le lamiere dell’aereo, morti, valigie, giornali e souvenir. Trentuno le vittime: diciotto calciatori, dirigenti e tecnici, giornalisti e l’equipaggio.

Valentino Mazzola in azione

Il Grande Torino, gli invincibili, la più popolare ed efficiente squadra italiana scompare!. Gran parte delle vittime sono irriconoscibili. Per l’identificazione faranno venire, alla camera mortuaria del cimitero, Vittorio Pozzo, giornalista de “La Stampa”, che fino all’anno prima era stato commissario tecnico della Nazionale, e la gran parte dei granata erano suoi “ragazzi”, li conosceva bene. La tragedia colpisce e addolora tutta Italia, piangono anche le donne che all’epoca nulla sanno di calcio. Mezzo milione di persone al funerale. Il campionato va avanti, il Torino manda in campo i ragazzi. Un destino crudele che pone fine a molte giovani vite, facendo schiantare l’aereo della squadra granata contro la collina di Superga.

Negli anni del dopoguerra, il Torino aveva saputo essere il mezzo del riscatto degli italiani, usciti malconci dal conflitto mondiale. Quella squadra fantastica sapeva far dimenticare le bombe. le macerie, la fame, sapeva far sognare persone costrette a fare i conti ogni giorno con una situazione al limite della sopravvivenza, ridava dignità, prestigio e tanto tanto riscatto. Era, quella squadra, composta di campioni straordinari: Mazzola, Loik, Castigliano (che colpiva di tacco una monetina e se la infilava nel taschino), Maroso, Menti, Bacigalupo. In termini di trofei non vinse molto quel mitico Torino: “solo” 5 scudetti, ma in quegli anni non c’erano competizioni europee ed i mondiali erano fermi. Ma il suo valore non può misurarsi in titoli o coppe: quel Torino fu qualcosa che andava oltre lo sport, uno straordinario catalizzatore di sogni. Era l’appiglio emotivo dell’Italia derelitta degli anni 40, la speranza di ottenere qualcosa di meglio dalla vita, la dimostrazione che i sogni possono avverarsi.

L’allenatore Ernő Erbstein era originario della Transilvania

Ma i sogni, a volte, si interrompono bruscamente, così come l’aereo dei granata in quel maledetto 4 maggio. Restano le immagini sbiadite di un altro calcio, frutto di un’epoca ormai dimenticata. Sembra strano oggi, al tempo del calcio business, fermarsi a ripensare a più di cinquant’anni fa….. a giocatori con pantaloncini a mezz’asta, scarpette di cuoio e capelli impomatati, ma la risposta è sempre la stessa: neanche quella maledetta collina è riuscita a privarci dei sogni, che forse a volte spariscono bruscamente, ma spesso sopravvivono e si alimentano nella nostra memoria.

Solo il fato li vinse, onore agli Invincibili!

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