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Le masche: streghe capricciose e dispettose, ma talvolta anche benefiche guaritrici

Masca è il termine che indica la strega nel folclore piemontese. Il termine è diffuso in moltissime aree della regione: si va da Langhe e Roero all’Astesana, dal Canavese alla provincia di Biella, dalle Valli di Lanzo all’Alessandrino. Un tempo, le donne accusate di essere masche venivano perseguitate e spesso processate e condannate al rogo dal tribunale dell’Inquisizione.

Il termine trae origine dal longobardo masca e compare per la prima volta in un testo scritto nell’Editto di Rotari (643 d.C.). Secondo alcuni studiosi, il termine avrebbe origine spagnola e deriverebbe dal verbo mascar, cioè “masticare”, per altri dovrebbe discendere dalla parola araba masakha, cioè “trasformare in animale”. Quest’ultima etimologia potrebbe essere supportata dalla loro capacità di mutarsi in animali. I racconti popolari piemontesi infatti le narrano capaci di trasformarsi in gatti, da cui deriverebbe l’atavica paura delle popolazioni piemontesi verso i felini, ma anche in pecore, come si evince dalle tradizioni della val Stura, dove esse seguivano gli ignari viandanti per poi scomparire nel nulla.

Generalmente le masche sono donne apparentemente normali, dotate però di facoltà sovrannaturali che vengono tramandate da madre in figlia o da nonna in nipote oppure per lascito volontario a un’altra donna giovane. Secondo la tradizione, questi poteri includono l’immortalità ma non l’eterna giovinezza o la salute. Ciò le rende vulnerabili e soggette alla malattia e all’invecchiamento. Tra i vari poteri quello della bilocazione e, come detto, della trasformazione in animali (ma anche in vegetali o oggetti). La loro attività è quasi esclusivamente notturna. Gli agricoltori e i montanari erano soliti attribuire loro la responsabilità di avvenimenti negativi o inspiegabili, detti mascherie.

Secondo la tradizione, i poteri delle masche comprendono l’immortalità ma non l’eterna giovinezza o la salute: sono quindi vulnerabili e soggette alle malattie e all’invecchiamento. Quando decidono di averne abbastanza di questa vita, per poter morire devono trasmettere i poteri ad un’altra creatura vivente, che spesso è una giovane della famiglia, ma alcune volte può essere un animale o un vegetale.

Nel passato gli agricoltori e i montanari usavano attribuire ad esse la responsabilità di avvenimenti negativi o inspiegabili, che venivano denominati mascherìe. La tradizione vuole che esse raramente siano malvagie, ma quasi sempre capricciose, dispettose e talora vendicative. In taluni casi sarebbero in grado di guarire malattie o ferite, tanto alle persone quanto agli animali, o salvare vite in pericolo.

Le masche piemontesi non sono condizionate, intimorite o controllate dall’elemento religioso; anzi, le masche domestiche frequentano la chiesa, vanno a messa e ricevono i sacramenti come tutte le altre donne della comunità. In alcune località, soprattutto tra la bassa Langa e l’Astesana, accanto alle masche esistono anche i masconi, sia pure in numero esiguo, che hanno ricevuto i poteri casualmente da una masca in fin di vita, ma non lo possono trasmettere ad altri: ciò spiegherebbe perché le masche appartengono al sesso femminile nella stragrande maggioranza dei casi.

Ancor oggi è di uso comune in Piemonte commentare scherzosamente la caduta accidentale di oggetti (ad esempio una forchetta che cade dalla tavola), o la temporanea “scomparsa” di oggetti che si ritenevano a portata di mano con l’espressione A-i é le masche (Ci sono le masche).

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